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Scavo di due vittime dell’eruzione nell’insula dei Casti Amanti. Nuovi dati vulcanologici e sismologici

“Avvennero molti infortuni a questo mondo, ma nessuno che valga ad arrecare cotanta soddisfazione ai posteri” scrive Goethe nel suo Viaggio in Italia, sotto la data del 13 marzo 1787. Quanto tragico fosse quell’ “infortunio”, lo si sta indagando ancora oggi, grazie a nuove tecnologie e metodologie della ricerca archeologica e vulcanologica. Sin dai primi scavi, iniziati nel 1748, il rinvenimento di vittime dell’eruzione del 79 d.C. ha fatto grande impressione sui contemporanei, anche oltre l’ambito archeologico. Si pensi, per citare un esempio particolarmente emblematico, al racconto Arria Marcella di Théophile Gautier (1852), ambientato nella villa di Diomede che aveva restituito i corpi di venti vittime, rifugiatesi nel criptoportico del complesso scavato tra il 1771 e il 1774 (Dessales 2002, p. 30).

Leggiamo quanto riportato nel diario dello scavo, diretto da Francesco La Vega, che seguì personalmente le operazioni di recupero dei corpi. Sotto la data del 12 dicembre 1772, è annotato: “ora essendosi scavato per non molti palmi il corridore suddetto [il criptoportico], vi si sono trovati 18 scheletri di persone adulte, oltre quelli di un ragazzo e di un piccirillo. Si conosce bene che questi, e forse altri che si potranno ancora trovare continuandosi questo scavo, furono sorpresi in quel sito della casa, come il più lontano da soffrire qualunque insulto, ma che non potè riguardarli da una pioggia di cenere, che cadde dopo quella del lapillo, e che si conosce bene fu accompagnata con dell’acqua, la quale le aprì le strade per farla introdurre in tutte le parti…” (PAH I. 1, p. 268).

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