All’epoca dello scavo emerse dapprima una struttura quadrata in muratura, probabilmente una mangiatoia; poco più in là, dal lapillo, il cranio, poi il collo e parte della colonna vertebrale dell’equide e più in basso il resto del corpo, oltre ad altri resti organici (paglia).
Il Maiuri ne lasciò in situ i reperti - secondo la pratica della musealizzazione diffusa, sperimentata nei decenni precedenti anche dal soprintendente Vittorio Spinazzola - rimettendo in piedi il cavallo su una struttura in metallo, coperto da una tettoia.
Con il passare dei decenni però, questo cavallo è stato in parte abbandonato e soggetto a un progressivo degrado.
L’armatura metallica finì per danneggiare lo scheletro anche con fenomeni di ossidazione che hanno intaccato il colore delle ossa. Per tale motivo il Parco archeologico di Pompei ha condotto un’attività di restauro e un nuovo allestimento che ne ha permesso la valorizzazione.
La metodologia di lavoro è partita da un rilievo con un laser scanner del cavallo, al fine di realizzare un modello 3d e consentire successivamente di smontarne le varie parti per sottoporle a un processo di restauro, pulizia e consolidamento in laboratorio.
L’intero reperto è stato rimontato in una posizione scientificamente più corretta, con una struttura e con materiali nuovi, adatti al microclima e dunque in grado di assicurare le necessarie condizioni di tutela del cavallo. Inoltre, l’allestimento su struttura composta da pezzi smontabili, consentirà interventi futuri più agevoli, anche su singole parti.
E’ stato, infine, predisposto un modellino tattile in 3d per gli ipovedenti che potrà essere toccato, anche con una differenziazione tra le parti effettivamente conservate e quelle ricostruite per far comprendere anche grazie ad una spiegazione in braille la storia di questo cavallo, dal ritrovamento al restauro.
Cronaca del restauro