Tale tipo di atrio, infatti, non doveva presentare un’apertura (compluvio) al centro del tetto, ma doveva essere totalmente coperto, come indicato da Varrone e da Vitruvio (Varr., ling., v, 33, 16-162; Vitr., VI, 3, 2), che ci forniscono anche altre informazioni interessanti, come l’origine del nome, ricondotta da Varrone a una somiglianza con il carapace di una tartaruga, ‘testudo’ per l’appunto, o il criterio su cui si fonda la scelta di questo tipo di atrio, che, secondo Vitruvio, al suo tempo, sarebbe caratteristico di abitazioni in cui non vi è molto spazio a disposizione, case non particolarmente agiate dunque, proprio come documentato a Pompei, a partire dal periodo tardo-sannitico. La casa ad atrio testudinato, infatti, è il tipo abitativo maggiormente diffuso nella cittadina vesuviana nel III sec. a.C., quando viene scelto sia dal ceto medio che dall’élite, mentre, nel secolo successivo, comincia a essere utilizzato solo per la costruzione di abitazioni di livello medio e talvolta per case di modesto tenore, e non è più utilizzato come modello per nuove abitazioni all’inizio del I sec. a.C. (D’Auria 2020).