Gli spolia, armature e altri oggetti di bottino esibiti durante un trionfo, erano appesi nell’atrio e non dovevano essere più rimossi, nemmeno in caso di vendita della casa, affinché “le stesse case celebrassero per sempre il trionfo” (Plin., Nat., 35, 17). È come se la casa, tramite l’atrio, fosse un membro vivente della famiglia, con un determinato ruolo a cui nessun altro poteva assolvere. Ma a un certo punto, l’atrio sparisce; evidentemente la società è cambiata; non ne sente più il bisogno. Abitazioni come la Casa di Diana ad Ostia, costruite durante la prima metà del II secolo d.C., gravitano intorno a un cortile-peristilio, sul quale si aprono le sale di rappresentanza. Il binomio sala/aula-peristilio sarà poi l’elemento costituente delle grandi ville dei secoli successivi (Piazza Armerina, per esempio). Si tratta di una trasformazione architettonica e sociale di cui possiamo cogliere i primi segni già nella Pompei del 79 d.C. Circa il 20% delle 1076 unità abitative schedate nell’area scavata della città e accessibili in rete tramite la piattaforma open.pompeiisites.org è caratterizzato dalla presenza di uno o più atri. Nella stragrande maggioranza delle restanti abitazioni mancava semplicemente lo spazio: sono piccole botteghe con retrobottega, appartamenti di pochi ambienti e qualche soppalco, spazi produttivi con ambienti abitativi annessi etc. (Zuchtriegel 2023, p. 17). Esiste, però – ed è questo il dato interessante – un discreto numero di case che raggiungono un certo tono di vita, a giudicare dalle pitture parietali e dagli arredi ivi trovati, eppure non dispongono di un atrio tradizionale. Volendo, ci sarebbe stato lo spazio, anche se ristretto.
Case senza atrio a Pompei. Un nuovo esempio dalle ricerche in corso nell’Insula dei Casti Amanti
Per la generazione dei nostri nonni, il salotto, quale stanza di rappresentanza e di ricevimento, era una parte indispensabile di ogni abitazione ‘borghese’, ovvero di chi si riteneva a pieno titolo parte del c.d. ceto medio. Durante la generazione dei nostri genitori si cominciò a sperimentare con forme alternative dell’abitare, e non solo. I modelli del vivere insieme tradizionali venivano sottoposti a una profonda revisione, a cominciare dalla famiglia, dal matrimonio, dal rapporto tra genitori e figli. Oggi, la ‘cucina aperta’, che nel primo dopoguerra sarebbe sembrata una caduta di stile inammissibile per una ‘buona famiglia’, è del tutto normale; anzi, esprime un modo, non solo di organizzare lo spazio abitativo, ma dello stare insieme. Oggi, non ci si incontra solo per ‘mangiare insieme’, si socializza anche cucinando insieme. È un esempio di come la storia dell’architettura domestica sia indissolubilmente intrecciata con la storia culturale e sociale di una società. Quella romana, nel momento dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., aveva visto nella casa ad atrio il suo modello di riferimento da circa sei secoli. Lo spazio dell’atrio, con il tablino quale sala di ricevimento durante la salutatio mattutina e con trofei e ritratti della famiglia esposti nelle alae, era necessario per la messa in scena dell’elite romana, non meno della toga e delle congregazioni politiche e sacre negli spazi pubblici (Pesando 1997; D’Auria 2020).