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La rioccupazione nell’Insula meridionalis di Pompei dopo il 79 d.C. Riflessioni a margine dell’“inconscio archeologico”

L’Insula meridionalis, ovvero il quartiere meridionale del centro urbano antico di Pompei, che si estende tra la ‘Villa Imperiale’ a ovest e il Quadriportico dei Teatri a est, è attualmente oggetto di un grande intervento di messa in sicurezza, consolidamento e restauro. Essendo stata interessata solo molto parzialmente dal “Grande Progetto Pompei” (2012-2023), l’insula è caratterizzata da una serie di problematiche conservative e strutturali, alla cui risoluzione è indirizzato l’intervento appena menzionato. Al tempo stesso, il progetto prevede una serie di indagini stratigrafiche in diversi punti. Nel corso di queste indagini, si è potuto accertare la ricchezza di dati relativi alla  rioccupazione di Pompei dopo il 79 d.C., ovvero dopo la distruzione della città – una rioccupazione di cui da tempo si avevano notizie, ma le cui tracce in molti casi sono state letteralmente rimosse per raggiungere i livelli del 79 d.C.

Gli scavi nell’Insula meridionalis, per quanto limitati, offrono così la possibilità di rivalutare una vecchia questione, che giace, per così dire, nell’inconscio archeologico di Pompei. Anzi, proprio perché si tratta di un campione limitato rispetto alla città nel suo complesso, ne emerge la vastità di dati relativi alle fasi post 79 ‘rimossi’ dalla conoscenza archeologica, che si è focalizzata sull’orizzonte del 79 d.C. Ma prima di entrare nel merito, occorre fare una premessa metodologica per comprendere meglio due aspetti: (1) il modello di indagine stratigrafica che ha prodotto questa forma di “rimozione” e di “inconscio archeologico” e (2) i fattori che rendono l’Insula meridionalis un punto nodale nel rimettere in discussione questo modello.

 

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