A livello letterario il riflesso di questo sviluppo diventa palese quando Virgilio, negli anni ’30 del I secolo a.C., nel ‘mezzo del cammin’ della sua vita (era nato circa nel 70 a.C.), compone le Georgiche, apparentemente celebrando l’inizio di un’era di rinnovamento, in linea con il progetto di Ottaviano, alla cui corte il poeta si sta avvicinando sempre di più.
Già nelle Bucoliche, di qualche anno prima (42-39 a.C. circa), egli aveva contornato il suo adattamento dell’idillio alessandrino con un elogio del nuovo ordine. La quarta ecloga, infatti, quella che nella lettura cristiana diventerà una profezia messianica, parla del puer che sarebbe nato e che avrebbe inaugurato una nuova età dell’oro, riferendosi verosimilmente al matrimonio tra Ottavia, sorella del futuro Augusto, e Marco Antonio. Anche nelle Georgiche (1, 25 sgg.), non manca un omaggio a Cesare Ottaviano. D’altro canto, si è sempre notata una certa ambivalenza nell’opera di Virgilio e la sua grandezza consiste, forse, proprio in questo. Dietro l’apparenza idilliaca, dietro l’esaltazione di una nuova età aurea, traspare un profondo senso di perdita e di irrecuperabilità di un mondo tramontato. Un sottofondo che diventa abbastanza esplicito nelle Bucoliche quando, nella prima ecloga, si fa riferimento alla redistribuzione di terre dei contadini italici a favore dei veterani della guerra civile. L’Arcadia decantata si rivela così un terreno contestato, misurato e parcellizzato; la valanga di coloni e veterani che prendono possesso delle terre assegnate loro dal potere romano fa apparire il paesaggio idilliaco in una luce fredda e amara, se guardato con gli occhi delle genti depauperate ed emarginate. L’età del rinnovamento, in realtà, è (anche) un’età della nostalgia.