Nel 79 d.C., circa 20.000 persone vivevano nella città di Pompei. La loro storia è racchiusa all’interno dei reperti che ogni giorno gli scavi ancora in corso riportano alla luce, ma tra le migliaia di rinvenimenti, i calchi sono quelli che colpiscono con più forza la nostra sensibilità.

Quando il Vesuvio erutta nel 79 d.C., case e strade vengono sepolte in poche ore, il tempo si ferma e migliaia di persone perdono la vita, incapaci di fuggire o mettersi in salvo. I corpi delle vittime vengono ricoperti dalla cenere che, raffreddandosi, li avvolge creando una sorta di stampo naturale. Col passare del tempo, vestiti, organi, e la maggior parte del materiale biologico si deteriora, lasciando nel terreno delle impronte perfette. 

Già dal Settecento gli scavatori al lavoro nel sito si accorgono delle cavità presenti tra gli strati di terra, ma solo nel 1863 l’archeologo Giuseppe Fiorelli intuisce come restituire un volto alle impronte, versando del gesso liquido nei vuoti lasciati dai corpi.

 

Nascono così i calchi.

La tecnica non si applica ai soli corpi, ma a tutti i materiali deperibili come anche arredi, porte e finestre in legno, custoditi all’interno delle case. Grazie ai calchi è possibile dare forma concreta all’antichità, studiando tecniche di costruzione e dettagli sul lavoro dei pompeiani.

Quella che è esposta nel braccio Nord della Palestra Grande è una selezione dei calchi delle vittime e di due porte, unica al mondo, perché riflette le particolari condizioni di conservazione createsi a Pompei.

I calchi esposti provengono sia dalle aree interne alla citta, che dalle porte e dalle strade, prese d’assalto dagli abitanti in fuga.

I calchi non sono semplici reperti, ma istantanee di un momento delicato e doloroso. Vi chiediamo di visitarla con attenzione e rispetto