La grande ancora in ferro, inv. 25894, proveniente dagli scavi ottocenteschi effettuati a Pompei, in località Bottaro, nella proprietà Fienga; essa costituisce un elemento che corrobora l’identificazione dell’area del pagus maritimus pompeiano.
L’ancora, di 417 kg pari a 1275 libre, è stata rinvenuta nel 1858 nello scavo delle fondazioni del Mulino De Rosa a Pompei in contrada Bottaro, quindi nel 1932 fu acquistata da Annibale Fienga, nuovo proprietario del Mulino, dagli eredi De Rosa. Essa testimonia, insieme alla presenza dei magazzini di stoccaggio, che l’area era vicina all’antico porto pompeiano o ad un suo approdo fluviale.
Nella stessa sezione è esposto uno dei mosaici che riproduce una anforetta da garum, inv. 15188, proveniente da Pompei, dalla casa di A. Umbricius Scaurus (VII 16,13) nell’insula Occidentalis di Pompei.
Il mosaico a fondo nero mostra, con tessere bianche, la tipica anforetta pompeiana (Schoene-Mau VI) usata per la vendita ed il trasporto del garum, la rinomata salsa a base di pesce, utilizzata come condimento di molti alimenti.
Sul corpo del contenitore si legge l’iscrizione in tessere nere “liqua(minis) flos” “fior fiore di liquamen” che indica la pregiata qualità del garum contenuto.
Il mosaico è stato distaccato, con altri tre simili, dagli angoli del pavimento dell’atrio della casa attribuita ad Aulus Umbricius Scaurus, noto produttore pompeiano di garum, che riceveva i suoi ospiti mostrando il suo prodotto di eccellenza riconosciuto ed apprezzato nel mondo romano.
Nella vetrina 3, riguardante La Pianura, è stato sostituito il cestino esposto, proveniente da Ercolano, con il canestro (inv. 89131) eccezionalmente conservato proveniente dai recenti scavi del Complesso di Moregine (amb.B)
Nella vetrina dei Monti alla tavoletta cerata, già esposta, si sono aggiunti altri strumenta scriptoria: uno stilo in osso appuntito ed un calamaio (atramentarium) in terra sigillata sud-gallica (Inv.12348) proveniente dal tablino della casa della Nave Europa di Pompei (Forma Ritterling 13).
Tipico oggetto dell’instrumentum, anche raffigurato in uno dei quadretti dalla casa di L.Caecilius Iucundus di Pompei, insieme a borse piene di denari, è simbolo del lavoro ben fatto che consentiva al proprietario di condurre e di amministrare bene i suoi affari. Spesso questi oggetti sono anche considerati simboli di cultura raffinata, nobilitando i soggetti che li posseggono come avviene nel ritratto del cd. Paquius Proculus, o sono usati per evocare di uno status sociale. Si tratta comunque di oggetti di rilievo, realizzati in materiali di pregio, come questo esposto di importazione sud-gallica o altri esemplari in metallo provenienti da Pompei ed esposti al MANN.
Nella stessa vetrina è esposto un reperto proveniente dalla villa Agrippa Postumo di Boscotrecase, scavata nel 1906. Si tratta di un amuleto in osso, la cosiddetta manufica che nella credenza popolare serve a proteggere dalle sventure e dalla cattiva sorte. Esso deve il suo nome alla forma tipica: una manina, destra o sinistra, dal pugno chiuso, che stringe il pollice tra l'indice e il medio.
Nella tradizione popolare è considerato un amuleto capace di spezzarsi sotto l'influsso dei malefici richiamati dalle persone cui si attribuisce la capacità di arrecare danno con lo sguardo e, una volta assolto al suo compito, che può durare anche tutta la vita, viene donato ai vari santi protettori.
Nell’ultima vetrina del terzo corridoio della prima sala, dedicata alle colture, ed in particolare nella sezione dei frutti sono esposti campioni di fichi accoppiati, di pinoli, inv. 11764, e di datteri, inv. 18092, prelevati dal Laboratorio di Ricerche applicate e prima non presenti nell’esposizione.
Il settore dedicato agli allevamenti ed alle colture apre una finestra sull’alimentazione in età romana ed in particolare nel I secolo d.C. nelle aree vesuviane.
Pertanto è parso suggestivo chiudere questa narrazione dedicando uno spazio ad una statua in bronzo raffigurante un efebo lampadoforo (portatore di lampade), bell’ esempio di opera decorativa di arredo mobile.
Statua di efebo lampadoforo inv. 13112, da Pompei VII 16, 19 (Casa di M. Fabio Rufo) Il pasto principale, la cena, nelle case più ricche e nobili era illuminato dagli efebi portalampade, o servitori muti, come questo esposto, rinvenuto nel 1960 nei pressi del grande salone della casa, o quello dalla Casa di Giulio Polibio (IX 13,13) o ancora quello dalla Casa dell’Efebo (I 7,11) di Pompei.
Gli efebi erano opere di origine ellenistica che, con aggiunte funzionali, reggevano vassoi dove spesso erano poggiate le lucerne che davano luce alle mense imbandite.
La statua in nudità eroica, in bronzo, ha un braccio disteso lungo il corpo e l’altro sollevato all'altezza del viso; le mani reggevano attributi, oggi mancanti. La testa è leggermente inclinata, il volto ha tratti idealizzati con l'ovale pieno, la bocca piccola e carnosa, gli occhi cavi per ospitare pupille di altro materiale, ed è incorniciato da una folta capigliatura con una pettinatura complessa. Conserva nel volto ed in alcuni particolari decorativi tracce di policromia (labbra, unghie, capelli ecc). I girali che regge fungevano da appoggio per vassoi e lucerne.
L’efebo è un’opera eclettica che si avvicina per il modellato del corpo alla tradizione prassitelica mentre la testa rimanda a tipi ellenistici, dai tratti delicati, quasi femminili, ottenendo l’aspetto finale di un puer delicatus, usato come trapezoforo.
Nella sezione dedicata alla Cosmesi, arte tesa ad inseguire la bellezza, è esposto un quadretto che riproduce Narciso, il mitico giovanetto la cui bellezza si rivelò fatale. L’affresco (inv. 17739), proviene dall’Insula Occidentalis di Pompei. Sul fondo giallo è il quadretto, bordato da due listelli verdi e rossi, con una filettatura bianca, che raffigura il giovane Narciso languidamente seduto su una roccia, con la clamide, che lascia scoperto il corpo, posata su una spalla e due lance trattenute nella mano destra. La testa è lievemente inclinata a riflettere il volto nello specchio d'acqua sottostante. Sulla sinistra avanza un amorino con le piccole ali spiegate, quasi a tentare di distogliere il giovanetto dall’attrazione letale voluta da Nemesi. Alla scena fa da sfondo un’area di giardino con alle spalle del protagonista una colonna e una balaustra in marmo bianco appena accennate.
Il mito di Narciso nasce in ambiente greco, come attestano modelli vascolari della metà del V sec. a.C., ed ebbe grande diffusione nel mondo romano nel quale fu raccontato in diverse versioni; nel I secolo d.C. la versione più diffusa fu quella narrata da Ovidio nelle Metamorfosi; essa ebbe grande successo così da essere replicata in ambito pittorico con numerose riproduzioni che ripetono prevalentemente la stessa composizione a struttura triangolare. In particolare in area vesuviana il soggetto, noto da almeno quarantasei raffigurazioni, alle quali si aggiunge un ultimo quadretto recentemente rinvenuto nella Casa di Leda (V 6, 12) è scelto come tema di quadretti di pareti di IV stile.
Il bellissimo figlio della ninfa Liriope e del fiume Cefiso, Narciso, insensibile all'amore, non ricambiò la travolgente passione della ninfa Eco, per cui fu punito da Nemesi che lo fece innamorare della propria immagine riflessa in una fonte; morì consumato da questa vana passione, trasformandosi nel fiore che da lui prende nome. La sua romantica storia ancora oggi nota diviene simbolo, nella psicoanalisi, di un eccessivo amore per sé stessi, causa di isolamento dalla realtà e dagli altri.
SETTORE CENTRALE
Nella vetrina della medicina è stato aggiunto un gruppo di 6 strumenti chirurgici con l’astuccio che li conteneva (inv.6127, c d e f g h) rinvenuti negli anni ’50 nel piazzale dell’Anfiteatro.
COSMESI
In questo settore è stato esposto un affresco raffigurante il mito di Narciso, divenuto nei secoli icona di bellezza.
L’affresco, inv. 17739 proveniente da Pompei, Insula Occidentalis, raffigura un paesaggio che fa da sfondo ad una scena di un notissimo mito greco, frequentemente attestato nelle pitture pompeiane di IV stile: il giovane cacciatore Narciso, seduto su una roccia in un bosco, si specchia in un laghetto e si innamora della sua immagine riflessa. Il quadretto, distaccato da una parete a fondo giallo, raffigura Narciso con clamide posata sulla spalla e due lance trattenute nella mano destra, la testa è lievemente inclinata con il volto appena piegato a rifletterne l'immagine nello specchio d'acqua sottostante. Sulla sinistra è un amorino dalle piccole ali dispiegate, che si avvicina al giovanetto rapito dalla sua stessa immagine, nel tentativo salvifico di distoglierlo dall’incanto. L’ambientazione della scena è data da una colonna ed una balaustra in marmo bianco che delimitano un rigoglioso giardino. Il tipo iconografico rimanda ad un originale di età tardo ellenistica: il mito di Narciso, creazione poetica dell'ellenismo, raffigura in questo affresco la versione più nota della leggenda narrata nelle Metamorfosi di Ovidio.
La vetrina della cosmesi si è arricchita di una serie di oggetti significativi che aiutano a comprendere l’importanza e i vari aspetti della cosmesi antica: uno specchio in argento con immagine di Medusa, un raro specchietto a teca, un rasoio in osso e ferro e quattro bellissimi strigili con manici decorati da figure di palestriti.
SACRO
Una delle due vetrine dell’area dedicata al mondo religioso, rimasta vuota per lo spostamento dell’erma in bronzo, proveniente dall’Insula Occidentalis, oggi esposta all’Antiquarium di Pompei, è stata completamente riallestita considerando che nell’altra vetrina è esposto il cosiddetto vaso magico proveniente dal Complesso dei riti magici di Pompei, dedicato al culto di Sabazio, si è ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione su questo culto particolare, di origine orientale, diffusosi nel mondo romano nei primi anni dell’Impero.
Nella vetrina sono infatti esposti un bustino in bronzo di Sabazio, una mano pantea, un corno potorio (rython) ed una coppa con incenso.
Il bustino del dio Sabazio, inv. 11471, da Pompei I 13, 9, prodotto probabilmente da un’officina artistica orientale, per il decorativismo di alcuni particolari e per il naturalismo delle offerte che stringe in mano, ricorda i caratteri dell’arte egizio-ellenistica di II sec. a.C.
Questa divinità, legata alla fertilità e alla vegetazione, proviene dalla regione traco-frigia, essa è espressione del sincretismo religioso diffusosi in epoca imperiale romana.
Su una sottile piastra a stella, che serviva per fermare la statuina su un supporto ligneo, si erge il torso ben modellato e vigoroso; dalla spalla scende una pelle caprina, la testa è caratterizzata da una acconciatura con capelli ondulati discriminati sulla nuca con un nodo tra due riccioli spiraliformi mentre altri due riccioli ricadono sulle tempie. I capelli sono stretti da un tralcio di edera annodato sulla nuca e fermato sulle tempie e sulla fronte da un fiore ageminato in argento. Sul capo è un calathos cauliforme, delimitato da due cordoncini, nel quale è una cista ornata con elementi a ghirlanda e colma di frutta (due grappoli d’uva, una pigna, fichi, susine e, tra due spighe di grano, una focaccia). Il volto ha la fronte corrugata, la barba fluente arrotondata, lunghi baffi dalle punte ricurve all’interno che inquadrano la bocca con labbra turgide. Gli occhi in materia diversa sono aperti con uno sguardo fisso e lontano.
Alcuni attributi del bustino riconducono a Bacco, ed in particolare a Bacco ctonio, ma più probabilmente si tratta di un’assimilazione sincretica delle due divinità, Sabazio e Bacco, accomunate da aspetti comuni che ne favorirono la diffusione in ambiente romano.
La mano pantea, inv.10486, come il vaso magico proviene, con un’altra simile, dal complesso dei riti magici di Pompei II 1, 12, ubicato in una zona vicina all’Anfiteatro dove erano “confinati” i rituali chiassosi e scomposti che probabilmente caratterizzavano le liturgie dedicate a questa divinità (che ricordavano i riti dionisiaci).
È una mano destra, ritta e aperta, col palmo rivolto all’esterno, le prime tre dita tese, l’anulare e il mignolo piegati nel gesto della benedictio latina. Di proporzioni naturali fino al polso ha lunghe dita a spatola con unghie quadrate, poggia su una base circolare in piombo terminante con una modanatura a cordoncino. Sul polso è la figura di una donna recumbente, che allatta un bimbo in una caverna individuata da un arco ellittico con accanto un corvo. Sopra l’antro è una mensa con offerte. Nella palma è seduto un personaggio maschile con corta tunica cinta in vita con calzoni ed alti calzari. Sul capo è un berretto conico a falde pendenti sulle spalle, sormontato da un crescente lunare. Identificato come Sabazio poggia i piedi sulla testa di un montone, ha le braccia alzate e con la destra fa il gesto della benedizione latina. Sul dorso è un’anfora, un paio di cembali, un ramo di pino avvolto nelle spire di un serpente, un culter (coltellino), una phiale, un caduceo alato, un rospo, una bilancia, un lungo serpente barbato e crestato che si allunga sull’anulare nel gesto di succhiare il liquido da un vaso posato sul mignolo, un festone e delle foglie, un pileus, una testuggine, un chicco di grano e su due file contrapposte quattro elementi astragaliformi e tre vasi ovoidali. Sulla punta del pollice è una pigna.
Carattere votivo per gli attributi, che rinviano a Sabazio la divinità traco-frigia il cui culto diffuso in Grecia dal V sec.a.C. entrò nel mondo romano nel II sec. a.C. ma, espulso come corruttore di costumi, rientrò in età imperiale associato ad altre divinità (Zeus e Dioniso).
L’oggetto aveva potere apotropaico ed in particolare proteggeva la madre e il bambino raffigurati, essa documenta l’infiltrazione del culto orientale di Sabazio in area vesuviana anche come protettore delle partorienti e a lui era dedicato il complesso dei Riti magici
Il Corno potorio (rhyton) inv. 11435, da Pompei I 13, 9 a pareti sottili con corpo cilindrico terminante con un piccolo e sottile puntale ed un orlo delimitato da una fascia lievemente modanata. L’ansa impostata verticalmente sul corpo è a forma di orecchietta, con al di sopra una voluta, il corpo è decorato con leggere impressioni circolari poste intorno all’ansa e delimitanti la bocca dove assumono la forma di un motivo a ghirlande. Altre decorazioni circolari sono applicate al di sopra dell’ansa. Il reperto è databile al I secolo d.C., la sua finezza riecheggia le forme simili realizzate in metallo prezioso.
Il corno era usato per bere il vino che accompagnava lo svolgimento delle cerimonie.
Nella stessa sezione è esposto un affresco raffigurante un Medaglione che racchiude una menade ed un satiro, staccato dal registro mediano della parete Nord del triclinio 20, Inv. 20555, della Casa del Bracciale d’oro (VI 17 Insula Occidentalis 42).
La menade, che ha il capo coronato di tralci di uva e pampini ed è vestita di un chitone verde brillante, regge in primo piano l’ansa di un kantharos argenteo porgendolo al sorso di un giovane satiro che è alle sue spalle e che prende con la mano sinistra l’altra ansa della coppa verso la quale volge il suo sguardo. Il satiro, vestito di pelle caprina ha il capo, dai capelli corti e le orecchie appuntite, coronato di rami di pino.
Il mare e la costa Sono esposti reperti che documentano la pratica della pesca e l’utilizzo di specie botaniche che crescevano lungo la costa e lungo la foce del fiume Sarno. |
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Amo in bronzo con catena Rinvenuto insieme ad altri oggetti (ami, piombini da reti, un coltello, resti di una cesta di vimini) che costituivano l’attrezzatura da pesca (instrumentum piscatorium) di un abitante di una villa rustica sita alla periferia meridionale di Pompei. |
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Casco osseo di pesce Elemento dello scheletro di un esemplare di una specie ittica, la Rondine di mare (Dactylopterus volitans L.), rinvenuto in un edificio di Pompei. |
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Roccia con molluschi Porzione di scoglio marino con datteri di mare (Lithophaga lithophaga L.) proveniente dal litorale pompeiano.
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Pittura parietale con Afrodite Pannello ad affresco con la raffigurazione di una divinità su una nave da trasporto. In basso era l’iscrizione in greco, ora scomparsa, che la denominava 'Afrodite protettrice'. Il dipinto proviene dalla cd. Casa di Lesbianus di Pompei. |
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Frammento di anfora fittile con garum Parte del corpo di un’anfora da trasporto con resti del contenuto: squame e lische di pesce, residuo solido del garum, la salsa ottenuta dalla macerazione di piccoli pesci, prodotta anche a Pompei ed utilizzata diffusamente nella cucina romana |
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Aghi di pino, pigne, pinoli Resti vegetali rinvenuti negli scavi della città di Ercolano e che attestano la presenza della specie Pinus pinea L. |
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Cestino in fibra vegetale Piccolo contenitore miniaturistico, dotato di coperchio, realizzato in giunco, rinvenuto in una domus di Pompei.
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La pianura |
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Zappa in ferro Strumento da lavoro per la sistemazione del terreno, rinvenuto in un edificio di Pompei. Nell’occhiello era inserito il manico in legno |
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Lapide marmorea Riutilizzata in una tomba della necropoli pompeiana di Porta Nocera, l’epigrafe ricorda Popidius Nicostratus, un agrimensore, come attestano gli strumenti raffigurati sulla sua lapide: la groma, le paline e il filo a piombo, di cui resta la matassa.
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La fascia collinare |
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Anfora vinaria Anfora fittile da trasporto, attribuibile al tipo Dressel 2-4, utilizzata per il trasporto di vino
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Anfora olearia Anfora fittile da trasporto, attribuibile al tipo Ostia LIX, utilizzata per il trasporto dell’olio.
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Anfora da frutta Anfora fittile da trasporto, attribuibile al tipo pompeiano Schoene IV. Nell’iscrizione dipinta sul collo viene nominato il suo contenuto: mal(a) cum(ana) ver(a), cioè vere mele cumane, oltre al peso ed alle iniziali P.C.Z., forse il nome del produttore.
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Olive Olive (Olea europaea L.) di cui resta il seme e parte della polpa, utilizzate come commestibile.
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Nocciolo di pesca Nocciolo di pesca rinvenuto in una domus di Pompei. Il reperto vegetale attesta la coltura nell’area vesuviana di questa specie botanica (Prunus persica (L.) Batsch), originaria della Persia, secondo le fonti antiche.
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I monti La sommità del Vesuvio era ricoperta di boschi, popolati da animali selvatici. La caccia e la raccolta di bacche, piante e funghi, oltre che il taglio della legna, erano le principali attività dell’uomo in tale area. |
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Gruppo di quattro dadi in osso Rinvenuti in un edificio di Pompei, un albergo, sono uno dei tanti oggetti che potevano essere realizzati con l’osso ed il corno derivanti dalla caccia. |
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Corna di cervo Palco di cervo, rinvenuto in una bottega di Pompei, ai piedi del bancone di vendita ed utilizzato probabilmente come trofeo.
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Tavoletta cerata |
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Roncola Roncola con la lama in ferro e manico in legno tuttora conservato, utilizzata per sfrondare rami e tronchi. Proviene dalla cd. Casa del Menandro di Pompei.
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Il verde urbano Nelle città vesuviane le case presentavano spazi verdi di varie dimensioni, piccoli orti, per piante officinali o grandi giardini, popolati di animali domestici e arredi marmorei |
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Pittura parietale con giardino Il pannello ad affresco riproduce lo schema di un giardino e testimonia l’attenzione degli antichi pompeiani per l’ ars topiaria. Proviene dal portico esterno del lato occidentale della cd. Villa Imperiale di Pompei ed è inquadrabile nel III Stile.
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Statuetta marmorea |
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Mangiatoia fittile Mangiatoia fittile per piccoli animali da cortile che popolavano i giardini pompeiani. |
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Calco di foglia Impronta rimasta sullo strato di cinerite compatta dell’eruzione del 79 d.C. di una foglia di un leccio (Quercus ilex L.). L’albero ornava il giardino di una villa stabiana. |
Colture e allevamenti |
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Glirarium |
Cesoie in ferro |
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Calco di maiale Calco in gesso realizzato su uno scheletro di maiale durante lo scavo della villa rustica in località Villa Regina a Boscoreale. Attesta l’allevamento di suini nelle fattorie vesuviane.
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Calco di cane Calco in gesso realizzato su uno scheletro di cane durante lo scavo della domus di Vesonius Primus a Pompei nell’Ottocento. Il cane conserva il collare con il quale era legato ad una catena, che gli impedì la fuga durante l’eruzione del 79 d.C.
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Falce in ferro Falce con lunga lama appuntita e manico ligneo ancora conservato. Era utilizzata per la mietitura e il taglio dell'erba.
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Pane carbonizzato |
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Macina manuale in pietra lavica |
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Fichi |
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Noci |
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Melagrane |
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Macina asinaria in pietra lavica |
La medicina Sono esposti reperti che documentano le pratiche mediche e farmacologiche dei pompeiani e per le quali erano utilizzate specie vegetali ed animali. |
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Manico di bisturi in bronzo |
Vaso in vetro |
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Profumi e cosmesi |
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Pettine in osso |
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Specchio in bronzo |
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Balsamario in vetro |
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Balsamario in vetro |
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Balsamario in vetro |
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Piante ed animali sacri Le piante e particolari animali erano utilizzati anche durante i riti religiosi |
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Cd. Vaso magico |
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Specie tessili e tintorie Sono esposti campioni di tessuto e fibre di natura animale e vegetale, provenienti dagli scavi delle città vesuviane |
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Sandalo in sparto |