Il territorio a nord di Pompei era una zona collinare particolarmente fertile. Qui in epoca romana sorsero numerosi complessi produttivi e residenziali. In particolare, nel territorio di Boscoreale, questi erano destinati prevalentemente alla produzione di vino e olio, attività che si svolgevano nella pars fructuaria dei complessi. In molti casi, particolarmente curata era la pars urbana (padronale): le esplorazioni archeologiche ci hanno restituito notevolissimi esempi di decorazioni parietali, mosaici pavimentali e di suppellettili di eccezionale valore storico-artistico.
Gli scavi iniziarono alla fine del secolo scorso: eseguiti da privati, proprietari dei fondi, erano finalizzati soprattutto alla scoperta ed al recupero di decorazioni parietali e pavimentali o di oggetti di valore, poi confluiti nelle collezioni di vari musei del mondo (il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum di New York ed altri), o in collezioni private. Gli edifici, dopo l’esplorazione, erano in genere reinterrati. In alcuni casi (Villa della Pisanella) rimasero in luce e furono soggetti a successive e ripetute spoliazioni, per cui ben poco è rimasto oggi in situ.
Gli scavi, eseguiti secondo i criteri del tempo, sono stati documentati in pubblicazioni dell'epoca, che riportarono le piante degli edifici, la descrizione degli ambienti e gli elenchi degli oggetti rinvenuti ma non ne consentono sempre l’esatta ubicazione.
Gli scavi più recenti, condotti secondo i moderni criteri scientifici, sono stati rivolti al recupero totale del monumento, alla ricostruzione del contesto, al restauro ed alla valorizzazione dei singoli edifici. Gli esempi presentati sono costituiti dalle ville esplorate in maniera sistematica, in alcuni casi completa, sia nei settori produttivi che in quelli padronali.
La prima villa esposta è la villa della Pisanella, scavata tra il 1876 ed il 1899, fu esplorata in ogni sua parte e spogliata del materiale mobile e di alcune pitture. La sua notorietà è legata al rinvenimento dello straordinario tesoro di ori e argenterie andato disperso tra vari musei del mondo.
L'impianto della villa risale agli inizi del I sec. a.C.: essa si compone di una pars urbana, destinata al soggiorno del dominus, con ambienti decorati in II e III stile e con un piccolo quartiere termale decorato da pavimenti a mosaico.
La pars rustica era adibita alla lavorazione dei prodotti della tenuta, che si estendeva per ca. 25 ettari (100 iugeri), come è deducibile dalla capacità dei magazzini. Gli ambienti di servizio comprendevano sia i locali di alloggio della servitù che i locali destinati alla conservazione ed alla lavorazione dei prodotti agricoli: il panificio con la macina per il grano, la stalla, il torcularium per il vino, il trapetum per le olive, il nubilarium per le messi raccolte ed infine, al centro, la cella vinaria destinata alla conservazione del vino, oltre che dell'olio e delle granaglie. La villa presentava anche un piano superiore dove erano ambienti di soggiorno e magazzini. Tra gli altri oggetti rinvenuti è da notare un gruzzolo di oltre 1000 monete d'oro e moltissimi oggetti facenti parte della suppellettile domestica, lì depositati, da riferire, forse, ad una seconda villa in costruzione, di proprietà dello stesso dominus o all’attività svolta dal proprietario (un musivarius?). Questi, dato il disordine trovato nei quartieri residenziali, al momento dell'eruzione non risiedeva nella villa.
Il complesso esemplifica il modello di azienda agricola descritta da Catone e Columella; costituisce un'unità produttiva del territorio nord-pompeiano dove la fertilità del terreno consentiva uno sfruttamento intensivo dell'ager.
Ai reperti già esposti è stato aggiunto un reperto particolarmente interessante: un compasso (inv. 16881) finora conservato nei depositi del Parco. Esso si rinvenne appoggiato al muro presso la soglia del torcularium “P” e fu definito da Pasqui “saliscendi a spranga quadrangolare in ferro, con grossa maglia ad un’estremità” secondo un altro inventario degli oggetti che furono donati da Vincenzo De Prisco allo Stato, il reperto è descritto anche come “lunga asta (timone per carro) finiente ad anello, rettangolare, divisa in due” e inventariato successivamente con il n. 16881. Si tratta invece di un grande compasso da mosaicista, le cui aste, dall’estremità inferiore appuntita e unite alla sommità da un perno negli occhielli, sono bloccate – quando non utilizzato – da due anelli quadrati infilati a metà dello strumento e in basso. Un anello in alto ne agevolava il trasporto e i movimenti. Uno strumento analogo poteva essere un altro oggetto, anch’esso descritto come “saliscendi” nel primo inventario dei reperti provenienti dalla villa ma di esso si ignora il sito esatto di rinvenimento. Esposto un tempo insieme all’altro nell’Antiquarium di Pompei e gravemente danneggiato durante il bombardamento della Seconda Guerra Mondiale, ne resta ora solo la maniglia, già esposta in vetrina (inv. 16966). Il riconoscimento dell’attrezzo può essere messo in relazione con un altro dato di scavo: sulla parete del portico della villa, al lato sinistro dell’ingresso al torcularium, ben visibile da chi percorreva il peristilio e dall’ingresso principale dell’edificio, era dipinta un’iscrizione, a “grandissime lettere colorite di rosso”, ancora in parte visibile nel 1896 quando Angiolo Pasqui subentrò ad Antonio Sogliano nella sorveglianza sullo scavo della villa e di cui Sogliano fornì il testo di quanto era riuscito a leggere al momento della scoperta. L’iscrizione, pubblicata anche nel Corpus Inscriptionum Latinarum, ora non più verificabile per la scomparsa dell’intero muro, e purtroppo lacunosa, nelle prime due righe fa riferimento a mus[ivum] opus, quindi alla produzione di mosaici. Nel 3° e 4° rigo le lettere sono incomplete e non è neanche chiaro se siano latine o greche o di entrambi gli alfabeti. Non è dunque possibile proporre integrazioni o scioglimenti con un sufficiente margine di attendibilità. Tuttavia considerata la posizione e le caratteristiche, l’iscrizione potrebbe essere una sorta di insegna commerciale di un artigiano musivarius.
Lo spazio centrale della sala, volutamente in posizione di rilievo, è occupato dall’illustrazione dei reperti provenienti dalla vicina villa Regina.
Tra gli oggetti rinvenuti, esposti nelle vetrine 1 e 2, va notata l'ermetta marmorea del dio Bacco, proveniente dal larario del portico. Le vetrine espongono inoltre il numeroso vasellame da mensa e da cucina, che con il nuovo allestimento è stato incrementato, alcune lucerne, tra cui una databile al III-IV sec. d.C. che dimostra la frequentazione del sito in epoca posteriore all'eruzione del 79 d.C.
Nella villa si rinvenne anche un carro da trasporto agricolo (plaustrum) del quale si espone parte di una ruota in ferro. Il carro, rinvenuto nel portico, stazionato verosimilmente a retromarcia, tra il larario e la porta secondaria che dava sulla vigna è un plaustrum, forse, date le dimensioni, un plostrum maius di cui parlano le fonti. È il tipico, antichissimo carro di campagna, a due ruote, lento, massiccio e pesante a causa del legno di quercia, che lo componeva, dei cerchioni di ferro e delle ruote piene (tympana) solidali con l’asse. Trainato da una coppia di asini, muli o, più frequentemente, buoi aggiogati, era più primitivo e tradizionale del carrus a quattro ruote, l’altro veicolo agricolo documentato nel mondo romano. Questo di Boscoreale è l’unico esemplare del tipo finora rinvenuto nell’area vesuviana, dove tuttavia sappiamo esistevano delle officine specializzate nella sua costruzione, in particolare a Pompei dove dei lignarii plostrarii sono documentati come sostenitori elettorali di un candidato nell’ultima fase di vita della città.
Villa di via Casone Grotta
Una tra le più recenti scoperte (1986) nel territorio di Boscoreale è la villa, rinvenuta durante i lavori di sistemazione di un terreno per uso agricolo. Alcune parziali campagne di scavo hanno consentito di mettere in luce i muri perimetrali dell’edificio a pianta rettangolare, di limitata estensione, del quale è stato possibile individuare l'ingresso, con piccolo cortile scoperto. In un unico ambiente è stato effettuato uno scavo più approfondito: si tratta di una stanza adibita a larario, posta immediatamente a destra dell'ingresso, nella quale, in una nicchia con frontone a doppio spiovente, fu rinvenuta una statuetta marmorea raffigurante una figura muliebre, distesa su kline, vestita di chitone e mantello, un Genio femminile, accanto alla quale erano alcuni monili in oro che la decoravano. Il rinvenimento di una lamina argentea, con la raffigurazione di un'altra figura femminile distesa, nonché di un bacino fittile con tre figure femminili sdraiate, accreditano l'ipotesi che la stanza costituisse un luogo di culto privato, destinato alla Bona Dea.
Il nucleo principale della villa è databile ad età tardo-repubblicana, (seconda metà del I sec. a.C.): a tale epoca risale un pavimento del piano superiore in cocciopesto con file di tessere bianche che descrivono quadrati, il larario con frontone sorretto da semipilastri in stucco con capitelli a foglie e cornice decorata a motivi vegetali si sovrappone ad un altro frontone in stucco di una nicchia precedente, di dimensioni più ridotte. Anche questo insediamento probabilmente aveva carattere produttivo.
Ai reperti già esposti è stato aggiunto un tavolino in marmo bianco, inv. 89223 che si compone di due parti: un piedistallo cilindrico scanalato terminante in basso ed in alto con una svasatura che funge in basso da piede di appoggio e superiormente, opportunamente conformato ad incastro per garantirne la tenuta, da appoggio per la mensa circolare col piano delimitato da un leggero bordo rialzato
Villa di Numerius Popidius Florus
Esplorata nel 1906, la villa è articolata attorno ad un porticato su cui i diversi ambienti, rustici e signorili, si dispongono su due piani. La villa, di cui oggi resta in luce sono parte del quartiere termale, risale nel suo impianto al I sec. a.C. Le pareti affrescate ricomposte nell'Antiquarium sono state acquisite dallo Stato: provenienti dall'ambiente 23, un cubiculum, le pitture sono inquadrabili nel IV stile e sono state datate attorno alla metà del I sec.d.C., in età neroniana.
Nel frigidarium era un mosaico con la raffigurazione di una coppia di lottatori, mentre sulla soglia era la scritta di benvenuto HAVE SALVE, in tessere bianche su fondo in cocciopesto, esposta.
Il nome del proprietario, Numerius Popidius Florus, compare in due piccole lastrine marmoree con dedica alle divinità protettrici Giove, Venere, Libero ed Ercole.
Villa di Publius Fannius Synistor
La villa, scavata tra il 1899 ed il 1903, è nota per le magnifiche pitture parietali di II stile, databili tra il 50 ed il 40 a.C., conservate in vari musei italiani e stranieri. A grandezza naturale sono riprodotti gli affreschi del cubiculum 9, conservati ora al Metropolitan Museum di New York; di notevole interesse storico-artistico sono anche gli affreschi del salone 5, con la raffigurazione di grandi figure mitiche e storiche alludenti alla nascita di Alessandro Magno ed alla sua conquista dell'Asia, di cui si espone la riproduzione di un pannello, ora conservato presso il Museo Archeologico di Napoli.
Nella vetrina centrale è uno dei reperti rinvenuti: un vaso bronzeo frammentario che reca all'interno, presso l'orlo, oltre all'indicazione della capacità del contenitore, il nome di Publius Fannius Synistor, proprietario del ricco complesso residenziale.
Di recente acquisizione è il mosaico pavimentale policromo con motivo geometrico a cubi prospettici che decorava il triclinium 11, mentre da poco tempo sono stati esposti altri due mosaici pavimentali provenienti dalla stessa villa.
Villa di Marcus Livius Marcellus
Rinvenuta nel 1928, la villa è stata attribuita alla famiglia dei Livii in base al rinvenimento di un sigillo bronzeo recante il nome di Marcus Livius Marcellus.
La villa, indagata solo parzialmente, ha restituito tra gli altri reperti la piccola placchetta d'avorio decorata a rilievo esposta nel pannello.
L’esedra è stata sfruttata per esporre alcuni degli affreschi provenienti da una villa: la villa di Asellius.
Scavata tra il 1903 ed il 1904, in un fondo privato posto sulla collinetta della “Pisanella”, la villa prende il nome da un sigillo bronzeo appartenuto al proprietario o al suo procuratore.
Ricoperta subito dopo lo scavo, solo di recente è stata localizzata, si differenzia dagli altri edifici rustici perché è priva di locali produttivi. L’edificio si sviluppa intorno ad un peristilio su cui si aprono diversi ambienti, tra i quali anche un piccolo quartiere termale. Le pareti erano decorate con affreschi di II e IV Stile pompeiano, testimonianza della vetustà dell’impianto, la villa che ebbe un rinnovamento nei decenni precedenti l’eruzione del 79 d.C. Da essa furono staccate molte pitture e solo di recente sono stati recuperati i cinque affreschi esposti.
L’affresco, raffigurante Dioniso libante è stato recuperato dai Carabinieri del Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale, in collaborazione con il Nucleo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza; posto, originariamente, in una nicchia rettangolare ricavata nella parete meridionale dell’ambiente 22 della villa è stato localizzato in Gran Bretagna, il 29 ottobre 2008, presso una nota galleria londinese. L’ultimo possessore, dopo aver avuto notizia della provenienza illecita del bene, asportato da ignoti dai depositi della Soprintendenza archeologica di Pompei, ha deciso di restituirlo spontaneamente allo Stato Italiano.
La restituzione è avvenuta il 23 dicembre 2008, nelle mani di militari della Sezione Archeologica, negli uffici dell’Ambasciata d’Italia a Londra.
Il quadretto con l'affresco di Dioniso libante era anche prima esposto (ma era nella I sala nella vetrina della collina), ora l'abbiamo spostato nella Seconda sala con alcuni altri affreschi che provengono tutti dalla villa di Asellius, scavata tra il 1903 ed il 1904, ed ubicata nel territorio del comune di Boscoreale.
Si tratta di affreschi recuperati dal mercato clandestino, in particolare l'affresco con Dioniso fu recuperato dai Carabinieri del TPC in collaborazione con la GdF a Londra nel 2008.
Gli altri, esposti per la prima volta, sono tutti affreschi provenienti dalla stessa villa di Asellius e restituiti dai carabinieri del TPC nel maggio del 2015:
- un affresco con medaglione che racchiude il busto di una giovane donna con un amorino sulle spalle,
- un affresco con una figura femminile con lungo mantello rosso che regge con la mano destra una piccola oinochoe;
- un affresco raffigurante pavone (recuperato dalla Svizzera nel 2000);
- un affresco raffigurante una Ministra sacrificante (recuperato dagli USA nel 2009).
Altri affreschi provenienti dalla stessa villa sono ancora oggi nei depositi di Pompei e in un secondo momento si spera di esporli.
L'affresco con Dioniso, staccato da una nicchia della parete sud dell'amb.22, forse un sacello, raffigura il dio con il capo coronato di pampini, seminudo, coperto solo da un mantello che avvolge la gamba e ricade sulla spalla, ha nella sinistra il tirso e con la destra versa il vino da una patera su un'ara decorata da festoni e con ai lati due montoni rivolti verso la figura del dio, dall'altro lato dell'ara è un cesto ricolmo di uva. L'immagine sacra, su fondo bianco, è in alto inquadrata da un ricco festone di fiori e foglie.
Chiude il percorso di visita l’immagine di un’eruzione ed un pannello che riproduce una reale sezione stratigrafica. La stratigrafia, dono della Missione del Japan Institute of Paleological Studies di Kyoto, fu regalata alla Soprintendenza alla fine degli anni '90 dal Prof Satoshi Sakai che ha condotto una serie di campagne di scavo alla ricerca della cosiddetta Porta Capua a Pompei, Soprintendente P.G.Guzzo. Questo "strappo" fu eseguito contemporaneamente ad una seconda colonna stratigrafica che doveva essere esposta in un museo giapponese.